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Trento 1997/98

Luigi Gratton
Corso di aggiornamento presso le scuole elementari De Gaspari di Trento.
Febbraio 1998: La luce: esperimenti significativi sul suo comportamento.

 

I colori.

Introduzione

Credo che se si chiedesse di spiegare cosa è il colore, o meglio perché noi vediamo gli oggetti di un determinato colore, pochi sarebbero in grado di fornire una spiegazione scientificamente corretta. Le risposte sarebbero per lo più date in termini di "scienza del senso comune", cioè date in termini di esperienze avute, o di informazioni ricavate dalle scarse lezioni scolastiche sull’argomento o da informazioni ricavate dai media.
Mediamente anche gli studenti dei corsi di fisica non hanno le idee del tutto chiare in quanto i corsi universitari non trattano l’argomento in maniera esplicita. Si dà per scontato che, una volta stabilito che la luce non è altro che quella parte dello spettro di onde elettromagnetiche visibile all’occhio umano, e che la radiazione elettromagnetica interagisce con la materia in determinati modi dando luogo a fenomeni di diffusione, riflessione, assorbimento e riemissione, tutta la problematica relativa ai colori risulti chiara ed evidente. Al più si aggiunge che la sensazione dei colori è soggettiva ed è mediata dal sensore occhio. Gli studenti sono a questo punto pronti, una volta diventati docenti di scuola superiore, a spiegare il concetto di colore ai loro rispettivi studenti.
Anche i libri di testo delle scuole superiori, le enciclopedie gli stessi testi universitari non contribuiscono ad un ulteriore chiarimento.
A questo si aggiunge che nella scuola elementare e nella media inferiore il colore viene anche trattato in "Educazione Artistica" dove si comincia a parlare di mescolamento di colori, di sintesi additiva o sottrattiva in un contesto molto suggestivo ma non propriamente scientifico.
A questo punto è evidente il perché il concetto di colore sia così ostico da spiegare. Gli schemi mentali presenti negli studenti sono rafforzati da mini teorie pseudoscientifiche apprese nei vari corsi scolastici di Educazione Artistica ed Educazione Tecnica; in nessun corso, neppure a livello universitario viene affrontato il problema di costruire un modello unitario e coerente che integri o sostituisca i vari modelli di senso comune che interpretano il fenomeno dei colori.
Gli stessi docenti di fisica di scuola superiore spesso non sanno districarsi nel problema, non tanto a causa della loro incompleta conoscenza teorica sull’argomento, quanto soprattutto a causa degli schemi mentali presenti inconsapevolmente in loro che possono impedire di impostare correttamente la problematica. Inoltre per rafforzare lo schema scientificamente corretto del concetto di colore è necessario procedere anche attraverso esperimenti che risultano ovviamente in accordo con questo, mentre contraddicano i modelli introdotti ad hoc dal "senso comune".
La necessità di passare attraverso una fase sperimentale è evidente specialmente quando l’esperienza quotidiana sembra contraddire il modello scientifico mal interpretato, come capita spessissimo parlando di fenomeni legati alla luce e ai colori. Basta pensare a quanto sia difficile convincere gli studenti che la luce non si vede finché non raggiunge il nostro occhio. Un fascetto di luce (prodotto con un laser per esempio) in qualunque ambiente (meglio se buio per l’esperimento) e privo di pulviscolo risulta invisibile a meno che non sia indirizzato direttamente sull’occhio; basta un po’ di fumo di sigaretta, di polvere di gesso o altro del genere per renderlo visibile per mezzo della diffusione dovuta alla polvere.

Teoria dei colori


Il modello viene qui esposto in un linguaggio il più semplice possibile compatibilmente con la correttezza dei concetti in modo che risulti, nei limiti del possibile, trasportabile anche a livello di scuola elementare e di scuola media. Verranno trascurati alcuni aspetti che a questo livello costituirebbero dettagli superflui.
Un modello soddisfacente per interpretare il colore è stato sviluppato poco più di cento anni fa; questo fatto può dare un’idea di quanto ci sia voluto agli scienziati per comprenderlo a fondo. Il modello scientifico di colore ovviamente non va confuso con la tecnica pittorica che permette di ottenere qualunque colore mescolando opportunamente alcuni colori base. Anzi la teoria scientifica corretta spiega nell’ambito del modello questo fatto.
Per comprendere il concetto di colore o, se si vuole, il "colore degli oggetti", bisogna partire dal presupposto che si tratta di un fenomeno complesso nel quale sono coinvolti tre elementi fondamentali.
  1. La sorgente di luce che determina le caratteristiche della radiazione elettromagnetica che illumina gli oggetti.
  2. Le caratteristiche dell’oggetto illuminato relative alla diffusione, alla riflessione, all’assorbimento e alla "riemissione" della luce incidente (radiazione che illumina l’oggetto).
  3. Le caratteristiche del sensore occhio e del processo di visione che determinano la sensazione finale del colore da noi percepito. Queste caratteristiche sono ovviamente soggettive e sono influenzate non solo disturbi della visione ma anche da fattori psichici.

Da quanto detto si ricava immediatamente che la percezione di colore è soggettiva finche si utilizza solo l’occhio come sensore.
Se non ci si serve anche di un analizzatore oggettivo come mezzo per studiare le caratteristiche della luce relative al colore si rischia di non comprenderne a fondo il comportamento.

Sorgenti di luce.


In primo luogo affrontiamo il punto a).
Gli esperimenti suggeriti per affrontare questo, come gli altri punti, saranno descritti in dettaglio nel seguito dopo avere discusso anche gli schemi e i modelli spontanei relativi alla luce con particolare riguardo ai colori.
Diamo qui per scontato che si siano già affrontate, almeno da un punto di vista sperimentale, alcune problematiche relative alla luce, quali la propagazione rettilinea, le leggi relative alla riflessione e alla rifrazione (specchi e passaggio della luce da un mezzo ad un altro: per esempio aria-acqua).
La luce emessa da una sorgente (il sole, una lampada ad incandescenza o a fluorescenza), che risulta visibile al nostro occhio, copre una porzione dello spettro di onde elettromagnetiche con lunghezze d’onda che vanno da circa 400 a 700 nm (ogni individuo ha occhi che sono sensibili ad una porzione di spettro leggermente diversa, pertanto i valori indicati sono valori medi).
Questa affermazione rimane pura astrazione se noi ci limitiamo ad osservare la luce emessa dalle sorgenti col solo ausilio dei nostri occhi. Così se noi osserviamo la luce emessa da una lampada ad incandescenza (non troppo intensa per non danneggiare gli occhi) non ci rendiamo conto che essa è data dalla sovrapposizione di luce di tante lunghezze d’onda.
Per studiare "oggettivamente" la luce emessa da una sorgente dobbiamo servirci di un mezzo dispersore, ad esempio un prisma di vetro. Se con un’opportuna fenditura selezioniamo un sottile fascio di luce proveniente dalla nostra lampada ad incandescenza e lo facciamo passare attraverso il prisma dispersore possiamo osservare il risultato su uno schermo bianco. Il risultato è noto a tutti: si osserva "l’arcobaleno" o, più correttamente, lo spettro della luce della sorgente. Diciamo meglio: la proprietà del prisma di vetro di deflettere ad angoli diversi le varie lunghezze d’onda della luce emessa dalla sorgente ha permesso di scomporre questa nelle sue componenti. Noi osserviamo sullo schermo in posizioni diverse tutti i colori di cui è composta la luce, che prima del prisma noi abbiamo osservato essere bianca.
L’associare ad ogni colore percepito dal nostro occhio una lunghezza d’onda può, a livello elementare, risultare un discorso del tutto astratto introdotto artificiosamente attraverso il principio d’autorità. In ogni caso penso che per comprendere il concetto di colore, di cui ci occupiamo, non sia strettamente necessario introdurre esplicitamente il concetto di lunghezza d’onda associato; ritengo che sia sufficiente l’osservazione fatta che la luce bianca è composta da tutti i colori dell’arcobaleno.
Quando osserviamo lo spettro della luce ottenuto con il prisma utilizzando come sensore il nostro occhio, il processo di visione ci fa percepire dei colori che, in questo caso, sono associati a ben determinate lunghezze d’onda.


Da adesso in avanti chiamerò colore puro monocromatico o anche radiazione monocromatica, un colore al quale è associata una lunghezza d’onda.


I colori che otteniamo dalla luce bianca scomposta con il prisma sono colori puri.

Il problema dei colori è dovuto al fatto che il nostro occhio (il processo di "visione") non è in grado di separare le varie componenti della luce (non distingue le varie lunghezze d’onda o frequenze) provenienti dallo stesso punto o da punti tanto vicini che non risultano spazialmente separati. Ciò, come vedremo, è legato a come funzionano i recettori di colore nell’occhio e alla funzione della visione nel suo complesso. Per confronto possiamo notare che l’orecchio (il senso dell’udito) è invece perfettamente in grado di distinguere le varie frequenze (lunghezze d’onda) del suono che lo raggiungono contemporaneamente. NB questo paragone non va preso alla lettera in quanto il suono ("un’onda" sonora) è molto diversa da un’onda elettromagnetica sotto molti aspetti, ad esempio uno strumento musicale emette, oltre a note pure, anche le armoniche che, in base alle loro caratteristiche, determinano il timbro di un suono: non esiste il timbro della luce emessa da una sorgente!
E interessante notare che tra i colori ottenuti con il prisma non c’è il bianco, che però possiamo facilmente ottenere facendo riconvergere in un punto tutti i colori con l’uso di una lente. Questo fatto deve essere sfruttato in quanto può far comprendere due aspetti. In primo luogo il bianco è una sensazione dell’occhio, il bianco poi non è un colore puro!.
Quando viene raggiunto "contemporaneamente" da tutti i colori (quelli che il prisma scompone) l’occhio percepisce la sensazione di bianco. Non è strettamente necessario che tutti i colori siano realmente sovrapposti basta che siano abbastanza vicini che la risoluzione angolare dell’occhio non riesca a distinguerli spazialmente: se la fascia di colori dispersi sullo schermo non è più larga di un paio di centimetri e noi ci allontaniamo dallo schermo di qualche metro torniamo a vedere una macchia bianca al posto dei vari colori.
Queste osservazioni servono anche a iniziare a fare comprendere il ruolo che ha l’occhio nel percepire i colori. L’occhio è certamente in grado di distinguere i colori puri monocromatici ma può avere la stessa sensazione di colore anche quando è colpito da una opportuna combinazione di colori monocromatici. La luce gialla emessa dai vapori di sodio dei lampioni stradali è praticamente monocromatica, e infatti sotto quei lampioni si ha una sensazione molto strana dei colori. Lo stesso colore giallo della lampada al sodio può essere percepito dall’occhio se si sovrappongono radiazioni monocromatiche opportunamente scelte. Utilizzando una terna di colori monocromatici (per esempio il rosso, il verde ed il blu) e dosandoli in maniera opportuna si può stimolare nell’occhio la stessa sensazione di colore giallo; si tratta del sistema utilizzato nelle televisioni a colori, nei monitor dei computer e in molti sistemi di stampa a colori (il cosi detto sistema RGB: da Red, Green, Blue).
Nello spettro ottenuto con il prisma manca anche il nero. Il nero è assenza di colore e quindi assenza di luce (se si vuole, il nero corrisponde al buio): non può quindi essere ottenuto con una combinazione di altri colori ma solo togliendo ogni colore. Ciò verrà visto in seguito quando parlerò di sintesi sottrattiva.
In conclusione la radiazione emessa da una sorgente deve comprendere almeno un colore puro, in questo caso si dirà che è monocromatica: ad esempio la luce rossa di un laser elio-neon o la luce emessa dai diodi utilizzati come spie in molti apparati elettronici, che in genere emettono nel rosso o nel verde. Alcune sorgenti di luce, come ad esempio le comuni lampade fluorescenti, emettono più di un colore e lo spettro analizzato con il prisma mostra una serie di righe di vari colori ben separate e di diversa intensità; ai nostri occhi questa luce appare bianca me "fredda" in quanto manca dei vari toni che danno "calore" alla luce: se si vuole apprezzare un bel dipinto o una foto a colori intendendo osservare tutte le sfumature dei colori non si può illuminarli con una lampada a fluorescenza. Infine le lampade a incandescenza, così come il sole, emettono una luce che, studiata con il prisma, mostra tutti i colori con un passaggio continuo dall’uno all’altro attraverso tutte le tonalità (qui con tutti i colori intendo quelli percepiti dai nostri occhi e ai quali sono associabili ben determinate lunghezze d’onda). Questa luce appare ai nostri occhi bianca e "calda".

Gli oggetti illuminati


Gli oggetti si comportano in modo diverso quando un fascio di luce incide su di essi.
Una certa categoria di sostanze è trasparente nel senso che la luce si propaga attraverso di essi praticamente inalterata. Tra questi possiamo citare l’aria, il vetro delle finestre e l’acqua. In realtà per gli ultimi due bisognerebbe citare almeno l’effetto della riflessione e della rifrazione che avvengono alla superficie di separazione che in genere è con l’aria. Per l’acqua può divenire importante, se lo spessore è grande, l’assorbimento della luce: infatti la luce del sole non raggiunge le profondità dei mari. Alcune sostanze sono trasparenti solo per uno o alcuni colori mentre assorbono gli altri. Si tratta di sostanze che "filtrano" la luce e sono molto comode per fare esperimenti in quanto permettono di selezionare un particolare colore emesso da una sorgente.
Alcune sostanze sono adatte a fare degli specchi in quanto sono in grado di riflettere più o meno bene tutta la radiazione luminosa che li colpisce. A questa categoria appartengono in genere i metalli; l’alluminio e l’argento sono particolarmente adatti per fare degli specchi. Queste due categorie di sostanze non hanno un colore proprio o perché sono trasparenti alla luce o perché riflettono la radiazione di qualunque colore. Certi metalli hanno un proprio colore, come il rame e l’oro, perché riflettono meglio alcuni colori rispetto ad altri.
Infine molte sostanze (oggetti) sono in grado di riflettere o diffondere alcuni colori puri mentre ne assorbono altri.
Qui trascuriamo molte altre proprietà, di cui alcune sono particolarmente importanti nell’uso industriale; mi riferisco per esempio alle sostanze fosforescenti utilizzate nella costruzione di lampade e di tubi a raggi catodici nei televisori.
Per riassumere gli oggetti sono colorati perché sono in grado di riflettere alcuni colori puri (lunghezze d’onda), mentre assorbono gli altri.
Perché un oggetto possa riflettere un colore puro è necessario che questo sia presente nella luce che lo illumina.

Per essere chiari se un oggetto riflette solo il colore blu (colore puro) ed è illuminato da una sorgente di luce che emette solo il colore rosso (colore puro) l’oggetto apparirà nero!. Ciò può essere facilmente verificato con un esperimento.
Il "senso comune" potrebbe suggerire che si dovrebbe vedere il "magenta" (come appreso nella "sintesi additiva"), ma la sorgente di luce blu in questo caso non c’è il blu non può venire dal nulla; l’oggetto non è una sorgente di luce, può solo riflettere la luce blu ma non produrla! Inoltre non può certo apparire rosso visto che assorbe tutte le altre lunghezze d’onda corrispondenti agli altri colori: pertanto deve apparire nero (assenza di colore).
Questa descritta è una situazione di laboratorio; nelle situazioni più comuni le sorgenti di luce non sono monocromatiche, non emettono in genere un solo colore puro, ed inoltre gli oggetti non riflettono solo luce monocromatica (un solo colore puro), ma possono riflettere più di un colore puro. L’effetto che si ottiene illuminando un oggetto con una data luce (non bianca) non è pertanto prevedibile facilmente se non si conosce con esattezza lo spettro della luce emessa dalla sorgente che illumina (i colori puri in essa contenuti). Bisogna inoltre sapere quali lunghezze d’onda (quali colori) sono riflesse dalla superficie e quali assorbite.
Un esempio: un oggetto colore magenta (non si tratta di un colore puro non essendo compreso nello spettro della luce naturale, quindi è una sensazione dovuta al processo di visione), che assorbe le lunghezze d’onda corrispondenti al verde come apparirà se illuminato con radiazione monocromatica rispettivamente rossa, blu o verde e infine come apparirà alla luce bianca?
Le risposte dovrebbero essere ovvie. Se illuminiamo con la luce bianca vediamo l’oggetto colore magenta, in quanto la sua superficie assorbe il verde e noi percepiamo il blu e il rosso (i colori riflessi) come magenta. Se lo illuminiamo con il verde lo vediamo nero, infatti il verde viene assorbito e la sorgente non contiene componenti rosse o blu. Cosi se lo illuminiamo con luce rossa lo vediamo rosso (nella luce manca la componente blu); infine se lo illuminiamo con luce blu lo vediamo blu. Tutto questo vale ancora in una situazione "quasi ideale" in cui le sorgenti emettono colori puri monocromatici (una banda di colore stretta); tuttavia con opportuni filtri (eventualmente filtri interferenziali), che selezionano in lunghezza d’onda (in un colore puro) la luce della sorgente, l’esperimento può essere fatto.
Oltre a ciò c’è un problema di contrasto dovuto al fatto che utilizziamo una sorgente di luce monocromatica (ad un unico colore puro); in questa situazione tutto l’ambiente in cui si trova l’oggetto ci appare del colore della radiazione impiegata oppure nero. Il contrasto tra il colore dell’oggetto (supposto che rifletta il colore della sorgente) e l’ambiente ce lo fa percepire di quel colore ma un po’ più chiaro!
In conclusione le caratteristiche fisiche fondamentali degli "oggetti", per quanto riguarda il problema dei colori, sono quelle di riflettere, assorbire e trasmettere la radiazione luminosa in maniera selettiva per le varie lunghezze d’onda; ciò, insieme alle caratteristiche della sorgente di luce utilizzata per illuminare, determina univocamente la radiazione che raggiunge il nostro occhio provenendo dall’oggetto; l’occhio e il processo di visione producono la sensazione di colore corrispondente.

L’occhio: la percezione visiva


Come abbiamo già osservato più volte, l’occhio svolge un ruolo fondamentale nella percezione dei colori essendo l’elemento che collega il mondo esterno, per quanto riguarda lo stimolo dovuto alla banda di radiazione elettromagnetica corrispondente al "visibile", con il nostro cervello, che elabora e interpreta i dati che dal sensore occhio riceve.
E’ fondamentale notare che l’occhio è un sensore che riceve stimoli dall’esterno. In questo senso è un elemento passivo (come vedremo per il "senso comune" si tratta invece di un elemento attivo) per quanto riguarda il processo di visione: se non riceve segnali dal mondo esterno non può né vedere né, ovviamente, percepire i colori.
Per il nostro discorso ci interessa sapere che l’occhio può essere considerato uno strumento ottico costituito da una "sfera" cava, con un diaframma ad apertura variabile, attraverso il quale la luce entra e colpisce il fondo della sfera cava. C’è anche un lente, a focale variabile, che ha la funzione di mettere a fuoco l’immagine esterna sul fondo dell’occhio. Nel fondo dell’occhio c’è la retina, che è ricoperta dai recettori di luce. Questi sono di due tipi: i coni e i bastoncelli; i due tipi di recettori hanno funzioni diverse per quanto riguarda il processo di visione. Il numero di coni e bastoncelli è elevatissimo: si tratta di diversi milioni di elementi che, tuttavia , non hanno una distribuzione uniforme, ma sono molto più addensati nella fovea (la zona centrale della retina). Poiché ogni recettore dà un contributo alla ricostruzione dell’immagine, la visione nella zona centrale dell’occhio è molto più nitida e ricca di particolari che la visione periferica.
I recettori sono collegati al nervo ottico in un punto che è privo di sensori, perciò si tratta di un punto cieco per l’occhio, che può essere facilmente individuato con un esperimento descritto in molti testi.
Il nervo ottico trasmette i segnali al cervello che li elabora insieme a quelli provenienti dall’altro occhio e fornisce la "sensazione visiva" del mondo esterno.
Il processo di visione non è affatto chiarito da un punto di vista scientifico. Per esempio anche la risoluzione angolare non si sa bene come funzioni. Infatti i recettori
non sono collegati uno a uno al nervo ottico, anche nella zona centrale; pertanto sembra che ci possa essere un’integrazione ed elaborazione del segnale già nell’occhio. Il nervo trasmette segnali al cervello ad una frequenza massima di una decina di hertz (una decina o poco più di segnali al secondo). Quest’ultimo fatto ci spiega perché noi non ci accorgiamo di variazioni di segnale luminoso se la frequenza è maggiore di circa venti hertz. Le pellicole cinematografiche cambiano i fotogrammi 24 volte al secondo e il nostro occhio percepisce un variazione continua (non si accorge degli scatti), cosi come non si accorge di ciò che fa una comune lampadina per causa della sua alimentazione a 50 hertz.
Anche per ciò che riguarda la percezione dei colori non si sa bene come funzioni il processo di visione.
Come abbiamo detto, ci sono due tipi di recettori: i bastoncelli, che sono responsabili della visione notturna (visione scotopica), e i coni , che sono i sensori responsabili della visione diurna (visione fotopica).
I bastoncelli sono insensibili ai colori. Di notte, con la luna piena e senza altre sorgenti di luce, non percepiamo i colori ma vediamo in "bianco e nero", se si riflette un po’ è un’esperienza che tutti abbiamo fatto. I bastoncelli sono estremamente sensibili praticamente sono in grado di "vedere" un singolo fotone!. Di giorno non funzionano perché sono "in saturazione": ci vuole un po’ di tempo per adattarsi alla visione notturna (pensate a quando si entra in una galleria durante un viaggio in autostrada).
I bastoncelli sono distribuiti in tutta la retina, ma nella fovea sono molto meno numerosi dei coni; anche per questo la visione scotopica è molto meno nitida della visione fotopica.
I coni sono molto meno sensibili dei bastoncelli ma sono uno strumento che funziona alla perfezione durante il giorno permettendoci una visione ricchissima di dettagli. In condizioni di luce scarsa non ci permettono una visione cosi ricca di particolari; comunque è il cervello stesso che, in queste condizioni, combina tutti i segnali utili alla visione, anche quelli provenienti dai bastoncelli, in modo da farci percepire il mondo esterno nel migliore modo possibile.
I coni sono responsabili della visione a colori, nella "visione mista", o finché è possibile, il processo di visione elaborato dal cervello ci fa percepire il mondo esterno a colori.
Non tutti gli animali percepiscono i colori, tra quelli che li "vedono" ci sono i primati.
Il modo in cui i recettori rispondono allo stimolo dei colori puri (colori spettrali come abbiamo detto) non è affatto chiarito.
Cerchiamo ora di spiegare la "visione a colori". Da un lato abbiamo visto che le sorgenti emettono dei colori puri che gli oggetti possono riflettere e assorbire in maniera selettiva. Cosa succede quando la radiazione luminosa della sorgente e quella riflessa dagli oggetti entra nell’occhio e colpisce i recettori sensibili al colore?
La situazione è semplice se nell’occhio penetra radiazione monocromatica, in questo caso noi vediamo il colore corrispondente al colore monocromatico puro.
Se la radiazione è composta da vari colori puri (intendo proveniente dallo stesso punto o da punti tanto vicini da non essere visti come distinti, per esempio un area uniformemente "colorata" all’interno di una figura "a colori") l’occhio non è più in grado di distinguere e separare le vari componenti spettrali della luce. Il processo di visione elabora in questo caso il segnale e ci fa percepire un colore, che è completamente determinato dalla combinazione dei colori puri presenti nella radiazione che ha provocato lo stimolo (intendo dire non solo i vari colori puri presenti ma anche le relative intensità). Si può tuttavia verificare (anche sperimentalmente) che la stessa percezione di colore viene elaborata dal processo di visione se vengono utilizzate terne di colori puri opportunamente scelte. I tre colori puri scelti dovranno essere combinati con intensità adeguate. Le terne di colori che possono essere utilizzate sono infinite e, una volta scelte, costituiscono i colori primari. La terna più comunemente usata è costituita dal rosso, verde e blu nota anche come RGB (dall’inglese Red, Green e Blue).
Questo non vuole dire che tutti i colori della natura sono costituiti da combinazioni di rosso, verde e blu ma solo che noi possiamo stimolare la percezione di un qualunque colore esistente in natura con una opportuna scelta di tre colori primari. Ad esempio il colore giallo di un limone (che potrebbe per quanto ne so essere monocromatico) lo possiamo riprodurre combinando nelle giuste proporzioni di intensità il rosso e il verde (NB. talora sono sufficienti due colori). Provate a osservare molto da vicino, eventualmente con una lente di ingrandimento, lo schermo di una televisione a colori; vedrete tre lineette verticali molto vicine di colore rosso, verde e blu. Non è detto che li vediate contemporaneamente in "attività", dipende dal colore che deve essere riprodotto nella zona di schermo che state esaminando.
Quando si riproducono gli stimoli che ci fanno percepire i vari colori sommando tre colori primari si opera la cosi detta sintesi additiva.
Un fatto notevole è che con la sintesi additiva si possono ottenere dei "colori che non esistono" nel senso che non sono contenuti nello spettro ottenuto con un prisma; si tratta cioè di una pura "invenzione" del processo di visione. Questo vuol dire che a questi colori o meglio alla radiazione che produce questo stimolo non corrisponde una data lunghezza d’onda. Se si comprende il significato di sintesi additiva ciò è del tutto ovvio. Noi percepiamo un colore ottenuto con sintesi additiva attraverso uno stimolo che è il risultato della sovrapposizione di almeno due colori puri di data intensità. Una analisi con un prisma della luce, che raggiunge l’occhio, ci farebbe ancora vedere i colori puri (le lunghezze d’onda) che costituiscono la radiazione di stimolo, mentre l’occhio percepisce un colore unico. Un esempio eclatante è costituito dalla sensazione di bianco; al colore bianco non corrisponde nessuna lunghezza d’onda (colore puro), cioè il colore bianco non esiste ma è "un’invenzione" dovuta al processo di percezione del colore, la stessa cosa può essere detta del magenta, del ciano, del marrone, ecc..
In conclusione con la sintesi additiva si producono degli stimoli che ci danno una sensazione di colore, ma la radiazione che produce lo stimolo (a meno che non si tratti di uno dei colori primari puri), non corrisponde ad alcuna determinata lunghezza d’onda. Come caso limite si possono anche produrre stimoli che provocano una percezione di colore a cui non può essere fatto corrispondere alcun colore puro.
Oltre che con la sintesi additiva gli stimoli corrispondenti ai vari colori possono essere prodotti per mezzo della così detta sintesi sottrattiva. Questa tecnica viene utilizzata nella fotografia a colori, quando si "mescolano" i colori per dipingere un quadro ecc.
La tecnica consiste nel selezionare le componenti della luce bianca con opportuni filtri; detto in altre parole si sottraggono alcuni colori alla luce bianca in modo che i colori puri rimasti producano sul nostro occhio lo stimolo necessario per farci percepire il colore voluto.
In conclusione sia nella sintesi additiva che nella sintesi sottrattiva il nostro occhio svolge esattamente la stessa funzione: la percezione di un dato colore è ancor dovuta allo stimolo provocato nel nostro occhio dalla combinazione dei colori puri che colpiscono i recettori. Ciò che cambia è il modo di produrre i tre colori primari: in un caso si sommano i tre colori puri opportunamente scelti, nel secondo caso si parte da una sorgente di luce bianca (se vogliamo la si può ottenere sommando i tre colori primari usati nella sintesi additiva, è più conveniente usare direttamente la luce del sole o di una comune lampada) e si sottraggono colori.
Come nel caso della sintesi additiva è stata scelta la terna rosso, verde e blu, nel caso della sintesi sottrattiva si sono scelti dei filtri che sottraggano alla luce bianca i vari colori puri in modo da selezionare di nuovo la terna rossa, verde e blu.
I filtri che si utilizzano sono il giallo, il magenta e il ciano. (NB. con la sintesi additiva il giallo lo si ottiene da rosso più verde, il magenta da rosso più blu e infine il ciano da verde più blu). Il giallo assorbe il blu, cioè lascia passare il rosso e il verde; il magenta assorbe il verde, cioè lascia passare il rosso e il blu; il ciano assorbe il rosso, cioè lascia passare il verde e il blu. Combinando a coppie due filtri si possono ottenere di nuovo i colori primari. Se si utilizzano tutti e tre i filtri insieme non passa alcun colore: si ottiene il nero.
I vari colori nelle varie tonalità possono essere ottenuti, nella sintesi sottrattiva, dosando opportunamente la quantità dei vari colori sottratta alla luce bianca.
Storicamente, per spiegare la percezione dei colori, sono state sviluppate numerose teorie, la più importante delle quali prevedeva l’esistenza di tre tipi di coni sensibili rispettivamente a tre colori puri: il rosso, il verde e il blu. Studi successivi hanno dimostrato che i coni sono sostanzialmente tutti uguali. Ricerche più recenti hanno individuato nei coni la presenza di sostanze sensibili (fotopigmenti) a tre colori "primari". I fotopigmenti che sono stati individuati sono di tre tipi, sensibili rispettivamente al rosso, al verde e al blu. Può essere interessante osservare che, mentre due fotopigmenti erano stati individuati da tempo, il terzo è stato individuato solo molto recentemente; lavori relativi a questo terzo fotopigmento sono stati pubblicati dopo il 1994. I fotpigmenti quando sono colpiti da radiazione di una data lunghezza d’onda (di un dato colore puro) modificano il loro stato e producono il segnale che, attraverso il nervo ottico, raggiunge il cervello. Poiché i vari fotopigmenti sono presenti nello stesso cono il segnale emesso è dovuto a più modificazioni contemporanee e non riporta informazioni analitiche sulla radiazione che è penetrata nell’occhio. NB. per la fisiologia dell’occhio è opportuno consultare una buona enciclopedia scientifica.

Il colore e il senso comune


In questa sezione voglio analizzare quali sono alcuni dei principali schemi di senso comune relativi ai colori. Questi schemi, in genere, costituiscono dei modelli che la nostra mente ha elaborato in base alle proprie esperienze per spiegare in maniera "soggettivamente soddisfacente" ciò che osserviamo nel mondo che ci circonda.
Gli schemi di senso comune riguardano tutti i campi; poiché la loro conoscenza è fondamentale per permettere di impostare un insegnamento corretto, che tenga conto degli ostacoli all’apprendimento, sono oggetto di studio approfondito.
Per quanto riguarda l’insegnamento scientifico, è a partire dagli anni settanta che si è avuta la piena consapevolezza della loro importanza; gli studi pertanto sono piuttosto recenti e non coprono esaurientemente tutti i campi possibili.
Poiché gli schemi di senso comune si sviluppano inconsciamente in noi, durante la nostra vita fin dai primi giorni, finché non hanno raggiunto un grado di "perfezione", che risulta soddisfacente per le nostre esigenze, essi sono diversi da individuo a individuo e dipendono dall’età.
In genere si riesce ad individuare certi schemi comuni a più individui; è interessante osservare che spesso essi coincidono quasi esattamente con modelli che la scienza ufficiale ha storicamente ammesso prima di svilupparne di alternativi e più soddisfacenti. I modelli di senso comune sono in genere mini teorie (talora non compiutamente esplicitate) che interpretano singoli fenomeni, ma cadono quando cercano di interpretarne altri di simili; le teorie e i modelli scientificamente corretti dovrebbero invece essere in grado di interpretare tutti i fenomeni naturali nel loro ambito.
Gli schemi di senso comune, cosi come la scienza ufficiale, sono in continua (e inconsapevole) evoluzione in noi; talora vengono integrati da parti prese dai modelli della scienza ufficiale.
Per tutti questi motivi il loro studio, e la comprensione dell’influenza che hanno sull’apprendimento, risultano difficili e sono oggetto di ampia discussione tra gli esperti.
Per quanto riguarda gli schemi di senso comune sul colore ci limiteremo ad alcune considerazioni, che tuttavia penso chiariranno alcuni problemi relativi alla comprensione del fenomeno "colore".
NB
. di qui in avanti userò il corsivo per riferirmi a concetti di "senso comune".
Gli schemi di senso comune non distinguono tra i vari aspetti che abbiamo considerato in precedenza, in particolare il processo di "visione" (per il senso comune!) è troppo importante, essendo, fin dalla nostra primissima infanzia, il mezzo principale con cui percepiamo il mondo esterno. Sembra impossibile che esso svolga solo un ruolo passivo; certo tutti sappiamo che, affinché funzioni, è necessario che ci sia "luce". Ma la luce per il senso comune non è la stessa "luce" del fisico. Gli antichi modelli distinguevano tra Lux e Lumen. Certamente ci vuole una sorgente per produrre la luce, ma questa, una volta prodotta, pervade tutto lo spazio (secondo l’intensità della sorgente: ad esempio la luce di una candela non è in grado di illuminare molto lontano, mentre la luce del sole illumina tutto). In altre parole la presenza della luce è necessaria per vedere: per il solo fatto che c’è noi siamo in grado di vedere. Il modello di senso comune non prende in considerazione il fatto che la luce si propaghi nello spazio ad una certa velocità e a distanza infinita (l’intensità della radiazione emessa da una sorgente puntiforme diminuisce col quadrato della distanza). Il senso comune ci fa pensare che la luce si vede per il solo fatto che esiste, cioè l’occhio se la luce c’è deve vederla; l’occhio pertanto svolge un ruolo attivo, non è necessario che la luce raggiunga l’occhio in quanto pervade tutto lo spazio! Provate a pensare ad una stanza buia con pareti nere (che assorbono tutta la luce che li colpisce), assolutamente priva di pulviscolo, nella quale c’è, appeso ad una parete, uno specchio molto lucido e perfettamente pulito. Voi state di fronte allo specchio dall’altra parte della stanza (appoggiato alla parete opposta); da una delle pareti laterali, attraverso un porta (la stanza a fianco è anch’essa buia), entra un fascetto di luce, emesso da un proiettore, che incide sullo specchio in modo che il fascio riflesso vada verso l’altra parete laterale rispetto a voi ed esca attraverso un’altra porta verso un locale buio. Domande:
voi vedete il fascio di luce?
vedete lo specchio?
L’esperimento è molto suggestivo. Le risposte previste dallo schema di senso comune non coincidono con ciò che si osserva. Gli studenti, a cui l’ho proposto sono rimasti molto colpiti dai risultati. Il motivo è che uno schema molto ben consolidato viene contraddetto. Il fatto che il fascio di luce non venga visto risulta abbastanza facilmente accettabile: è esperienza comune che noi vediamo i raggi del sole se c’è un po’ di pulviscolo. Ciò risulta ovvio per il modello scientifico, ma non altrettanto per il modello di senso comune e questo fatto tuttavia viene trascurato. Il modello di senso comune non si propone di spiegare tutti i fenomeni ma basta che funzioni bene per la maggior parte!
Il fatto che lo specchio non si veda è molto più sorprendente. Il modello di senso comune prevede che se c’è luce (ma sullo specchio c’è luce!), dobbiamo vederla, come mai ciò non accade?
In realtà si tratta in entrambi i casi dello stesso problema (sia per quanto riguarda il fascio di luce che non si vede, sia per lo specchio che neppure si vede). Il modello di senso comune considera l’occhio come elemento attivo: il ragionamento se c’è luce allora la vedo implica che sia l’occhio (il processo di visione nel suo complesso) che va a vedere. In questo caso non vede nulla: come mai?
La spiegazione scientifica è ovviamente legata alla propagazione rettilinea della luce e al fatto che l’occhio vede solo quando la luce, nel suo cammino, lo colpisce. In questo esperimento la luce nel suo cammino non colpisce il vostro occhio e voi non la vedete. Se ci fosse pulviscolo allora la luce sarebbe diffusa, potrebbe colpire il vostro occhio e voi la vedreste. Questa, come abbiamo detto, è un’esperienza comune e quindi facilmente accettabile anche se è in contrasto con lo schema di senso comune. Allo stesso modo solo se lo specchio non è perfettamente pulito voi sarete colpiti dalla luce diffusa dalla sporcizia sulla sua superficie; ciò vi darà la sensazione che sullo specchio ci sia una macchia luminosa. Per quanto riguarda lo specchio ci si sorprende molto di più perché nelle situazioni quotidiane vediamo sempre lo specchio, sia perché ci si trova sempre in una situazione dove c’è luce diffusa da tutto l’ambiente, sia perché è molto difficile pulirlo perfettamente.
Ho voluto trattare in dettaglio questo esperimento perché permette di porre in risalto alcuni aspetti importanti del "senso comune" riguardanti la luce, che tuttavia sono fondamentali per comprendere come il "senso comune" interpreta il fenomeno dei colori.
Per riassumere: gli schemi di senso comune non considerano la propagazione della luce o se la considerano, questa non è sempre rettilinea (non corretta interpretazione della diffusione da pulviscolo); in genere la propagazione rettilinea è attribuita piuttosto ai raggi visuali che al cammino della radiazione luminosa (questo coincide ancora con i vecchi modelli del processo di visione). Inoltre l’occhio ha una funzione attiva: è l’occhio che va a vedere (anche il linguaggio comune ce lo fa capire; per esempio si dice: lanciare uno sguardo, dare un’occhiata, fare luce cosi si può vedere, per non parlare della vista a raggi X dell’eroe dei fumetti che tutti conoscono...).
Nell’analizzare gli schemi di ragionamento di senso comune relativi ai colori bisogna tenere conto di queste osservazioni.
Per il senso comune il colore non è una proprietà della luce. Il fatto che la luce possa essere "scomposta" nell’arcobaleno (notare che questo fenomeno ha affascinato sempre gli studiosi ma fino a Newton, nessuno è riuscito a comprenderlo), o facendola passare attraverso un prisma, non spostano di una virgola il problema. Per il senso comune si tratta di fenomeni che non hanno a che vedere col fatto che noi vediamo gli oggetti colorati. La luce è indispensabile per vedere i colori così come è indispensabile per vedere. Per il senso comune il colore è una proprietà intrinseca delle superfici degli oggetti. Il colore è indipendente dalla natura della luce e dal ruolo dell’occhio. Da questo modello derivano moltissime convinzioni radicate nella nostra mente. A questo vanno aggiunte informazioni che abbiamo ricevuto nei corsi dove si lavora con "colori" ad esempio Educazione Artistica. In questi corsi si parla di mescolamento di colori, di sintesi additiva (per certe tecniche pittoriche) o di sintesi sottrattiva (per altre tecniche). Queste informazioni vengono aggiunte agli schemi che già ci siamo formati, aumentando la complessità del modello di senso comune senza minimamente portare a una comprensione coerente del concetto.
Con questo non voglio dire che senza comprendere il concetto di colore si viva male o non si possa lavorare. Per millenni i pittori hanno prodotto capolavori senza avere la minima idea di come funzioni il processo di visione a colori. Tuttavia mi pare che per un corretto insegnamento scientifico valga la pena di spendere qualche pagina per esporre un modello coerente che inquadri meglio i vari aspetti legati al concetto di colore.
Come conseguenza degli schemi di senso comune si ha che spesso non si riescano ad inquadrare certi fenomeni relativi alla visione a colori, o a darne delle spiegazioni molto parziali ed imprecise. In particolare si ha il fallimento di molte previsioni su cosa si deve vedere in alcune circostanze.
A quest’ultimo aspetto voglio fare qualche accenno. Un esempio di come gli schemi di senso comune non riescano a fare previsioni corrette lo si ha se si considera cosa succede quando si illumina con luce monocromatica (di un ben determinato colore puro) un oggetto, che alla luce bianca, ci appare di un dato colore. Per essere più chiari propongo il seguente esperimento. Si è in una stanza buia; si ha in mano un oggetto che alla luce del sole ci appare blu; nella stanza c’è, come sorgente di luce, una di quelle lampade che si usano nelle camere di sviluppo fotografico e che emettono luce rossa (non proprio monocromatica, ma con scarsa emissione di altri colori: questo lo sappiamo bene, altrimenti impressionerebbe le pellicole!). Solita domanda: di che colore vedremo l’oggetto?
Per il senso comune il colore blu è una proprietà dell’oggetto, pertanto se c’è luce, dobbiamo vederlo blu, indipendentemente dalla sorgente di luce; al più, mescolando i concetti appresi relativi alla sintesi additiva, dobbiamo vederlo di colore magenta! Come se l’oggetto emettesse luce blu e diffondesse la luce rossa. Il modello scientifico, per prevedere correttamente quello che accade, si basa sui presupposti trattati nei paragrafi precedenti: la sorgente di luce emette solo il colore puro rosso, pertanto la luce riflessa o diffusa che noi possiamo percepire non può che essere rossa; ma se l’oggetto non riflette la luce rossa, bensì la assorbe, noi non possiamo vedere alcuna luce e alcun oggetto(!), in realtà, per contrasto con l’ambiente, che ci appare rosso, a noi l’oggetto appare nero! Provare per credere!. L’occhio svolge solo un ruolo passivo: se la luce, che colpisce i recettori, non contiene altra informazione che "luce rossa" o "niente luce" non è in grado di "fabbricare" colori e farci percepire qualcosa di diverso dal rosso o dal nero.
Per mettere alla prova il modello di senso comune possono essere studiati, cosa che vedremo nel prossimo paragrafo, numerosi esperimenti interessanti.
Un ultimo riassunto degli aspetti significativi relativi al concetto di colore:
per il senso comune:
    • la luce una volta prodotta dalla sorgente invade (eventualmente localmente) l’ambiente;
    • non c’è differenza tra le sorgenti di luce a parte "l’intensità";
    • tutte le sorgenti di luce, una volta accese, ci permettono di vedere e di percepire i colori;
    • la luce che illumina gli oggetti non è influente per determinare il loro colore;
    • il colore è una proprietà intrinseca degli oggetti;
    • il colore della luce che illumina gli oggetti può mescolarsi con quello proprio dell’oggetto per combinarsi in altri colori secondo le regole della sintesi additiva;
    • l’occhio, per quanto riguarda i colori, non svolge alcun ruolo.

Se si riflette su quanto scritto nei paragrafi precedenti, risulta evidentissima la differenza rispetto al modello scientifico. Notare che lo schema di senso comune non deve necessariamente essere coerente, in quanto interpreta i singoli fenomeni relativi alla percezione di colore.

Alcuni suggerimenti sperimentali


Alcuni esperimenti, che ritengo di grande significato, li ho già proposti nelle pagine precedenti.
Qui mi limiterò ad alcuni suggerimenti. Ritengo che si debbano suddividere in tre categorie:
  1. relativi alla proprietà delle sorgenti di luce (riguardano necessariamente la propagazione rettilinea; si basano su concetti di ottica geometrica e, alcune volte, di ottica fisica);
  2. relativi alle proprietà degli oggetti di trasmettere, diffondere, riflettere e assorbire la luce.
  3. relativi al funzionamento dell’occhio.

Suggerimento: l’ordine in cui eseguire gli esperimenti non deve essere casuale ma sarebbe preferibile seguire lo schema a), b) e c). Il problema principale è dovuto al fatto che, per studiare la luce e colori, siamo costretti ad adoperare come sensore l’occhio, che è proprio uno degli oggetti dello studio. Tutto va fatto perciò, senza sapere a priori cosa, di quello che "vediamo", è oggettivamente vero o non è piuttosto una elaborazione della nostra mente.
Mi limiterò ad proporre una serie di esperimenti facendo prima un elenco dei materiali che saranno utilizzati. I materiali che suggerisco di utilizzare sono di facile reperibilità o costruibili senza particolari difficoltà. Il loro costo è limitato. Naturalmente vanno bene anche altri strumenti in alternativa a quelli proposti
Innanzi tutto bisogna procurarsi sorgenti di luce di vario genere. E’ necessario avere un porta lampada.
1) Le sorgenti suggerite sono:
- lampade a incandescenza, lampade a fluorescenza (a basso consumo), candele;
- è di grande utilità procurarsi anche sorgenti di luce monocromatica; esistono faretti a incandescenza con vetro di vari colori (non sono molto monocromatici), e le lampade da camera oscura (ne esistono di vari colori, sono molto meno efficienti in quanto a luminosità ma più monocromatiche dei faretti);
- un proiettore da diapositive, possibilmente privo di ogni automatismo;
- un laser (i modelli a diodo che vengono usati come indicatori costano meno di centomila lire), questo strumento è estremamente utile: emette un fascio di luce altamente monocromatica (generalmente la luce è rossa) ed estremamente direzionale. Hanno l’inconveniente che il fascio di luce ha un’alta intensità specifica e può risultare pericoloso per l’occhio;
- per molti esperimenti la migliore sorgente di luce è il sole.
2) Strumenti per analizzare la luce con i quali costruire "spettroscopi":
- prisma di vetro, o di materiale sintetico. Vedremo come costruirne uno che funziona con liquidi;
- reticoli di diffrazione (in trasmissione), o occhialini a diffrazione;
- fenditura anche per questo strumento darò una "ricetta" per la costruzione con l’uso di lamette da barba;
- lenti con lunghezza focale dell’ordine da cinque a quindici cm.
3) Altri strumenti per analizzare la luce:
- filtri colorati di tutti i generi. Si ne trovano per pochi soldi di materiale sintetico;
- copri quaderni di materiale sintetico unicolore (funzionano abbastanza bene come filtri colorati).
4) Oggetti colorati vari (l’elenco ve lo fate da soli), suggerisco comunque:
- scatole di colori di vario genere;
- giocattoli basati sui colori (per esempio trottole dei colori ecc.);
- cartoncini colorati;
- specchi
- cartoncino nero, panno nero e feltro nero.
5) Potrebbe essere molto utile avere a disposizione una piccola cella solare collegata a un milliamperometro.
Ovviamente per l’esecuzione degli esperimenti sono necessari anche altri strumenti, ma non sono specifici per i colori.
Esperimenti preliminari sono la costruzione di un prisma, di una fenditura e di uno spettrometro.
Prisma.

Bisogna procurarsi tre vetrini da microscopio (va bene qualunque altro vetro purché abbastanza piano e tagliato a forma di rettangolo con lati di qualche centimetro, ce ne vogliono tre pezzi uguali). Con i tre vetrini costruiamo un prisma con base a triangolo equilatero attaccandoli tra di loro per il lato lungo, conviene aiutarsi con un elastico per tenerli fermi. I bordi vanno accuratamente sigillati con silicone in modo che non perdano acqua. Per base può essere utilizzata qualunque cosa, possibilmente un po’ più larga del triangolo costituito dal contorno dei tre vetrini per ragioni di stabilità. Anche la base va sigillata con silicone in modo che il liquido che verrà usato in seguito non fuoriesca. Un po’ di pazienza, perché il silicone si asciughi, e il prisma cavo è pronto. Perché funzioni bisogna riempirlo di liquido; per cominciare l’acqua va benissimo.
Fenditura

E’ indispensabile per ottenere immagini nitide con gli spettrometri di cui parleremo tra un attimo. Ci vuole almeno una lametta da barba e un telaio da diapositive. La lametta va spezzata con cura (per non tagliarsi) in modo che le parti taglienti non si rovinino. Le lame vanno poi fissate con nastro adesivo nero al telaio da diapositive in modo che non sporgano da alcun lato. Le parti taglienti devono essere accostate parallelamente in modo da ottenere una fessura molto sottile (è probabile che si debbano fare alcune prove prima di ottenere la larghezza desiderata, infatti se è troppo sottile passa troppo poca luce e il fenomeno della diffrazione può disturbare; se è troppo larga le immagini potranno risultare poco nitide). Bisogna prestare cura non solo al parallelismo delle due parti della lama, ma anche al fatto che siano sullo stesso piano! La fenditura cosi costruita va provata col proiettore da diapositive; conviene montare le lame in modo che l’immagine della fenditura proiettata su uno schermo risulti verticale. Bisogna anche avere cura che la luce del proiettore passi solo attraverso la fessura; se ci accorgiamo che passa anche da altre parti, basta sigillare ogni altra via con il nastro adesivo nero o con un foglio di alluminio per alimenti.
Spettrometro e alcuni esperimenti

Uno spettrometro per la luce è uno strumento che ci permette di analizzare un fascio luce "scomponendolo" in colori puri; più precisamente è in grado di "separare" le varie lunghezze d’onda, a cui corrispondono i colori puri, come abbiamo scritto nella prima parte, "disperdendole" spazialmente su uno schermo, oppure direttamente sul nostro occhio. Per gli scienziati sono strumenti fondamentali; quelli professionali sono molto raffinati e costosi, ma a parte quelli di vecchia concezione che usavano lastre fotografiche (peraltro quasi mai a "colori") non fanno proprio vedere direttamente i colori associati alle varie lunghezze d’onda. Per i fisici non conta il colore, anche se puro, della luce, perché è una elaborazione mentale; a loro interessa invece la grandezza fisica importante che è la lunghezza d’onda (o la frequenza); noi invece siamo interessati proprio alla percezione dei colori puri, pertanto è fondamentale che i nostri strumenti ce li facciano "vedere".
Lo strumento è costituito da una sorgente di luce intensa (che può anche essere un oggetto colorato, quindi riflette in tutte la direzioni uno o più colori puri; in questo caso tuttavia la "sorgente" di luce sarà molto debole e difficilmente studiabile con gli strumenti da noi costruiti); da una fenditura, che è fondamentale per ottenere un’immagine nitida nella quale i colori puri siano separati; da un elemento dispersore, il prisma che abbiamo costruito o un reticolo di diffrazione da acquistare; infine da uno schermo dove proiettare l’immagine della fenditura e su quale vedere i colori puri presenti effettivamente nel fascio di luce (al posto dello schermo conviene, talvolta, porre direttamente l’occhio.).
Uno strumento di uso pratico, molto adatto per studiare il comportamento dei filtri che ci saranno utilissimi in molti esperimenti, è costituito da un proiettore da diapositive nel quale viene posta direttamente la fenditura che abbiamo costruito, dal prisma e da uno schermo bianco; lo schermo deve essere piuttosto vicino per non perdere in luminosità. La stanza dove si lavora deve essere buia (conviene schermare il meglio possibile il proiettore in modo che l’unico fascio di luce sia quello che ci interessa).
Dapprima bisogna collimare il fascio di luce del proiettore in modo che l’immagine della fenditura sullo schermo abbia i contorni ben nitidi. I "raggi" di luce devono essere piuttosto paralleli (ciò, per la simmetria dell’ottica del proiettore e se la fenditura fornisce un’immagine verticale, può avvenire solo relativamente a "destra e sinistra", mentre nelle direzione "alto basso" il fascio di luce sarà divergente), per verificarlo basta seguire il fascio di luce con un foglio di carta bianca e osservare che la larghezza della riga di luce bianca non cambia di molto, mentre l’altezza cresce proporzionalmente alla distanza. Il prisma deve intercettare il fascio di luce su una delle sue facce. Se è pieno di acqua, produrrà sullo schermo il tipico "arcobaleno". La direzione in cui questo verrà a trovarsi dipende da come è posizionato il prisma rispetto al fascio di luce, in ogni caso il fascio risulterà deviato rispetto a prima. L’arcobaleno avrà una forma di mezzaluna, ciò è dovuto al fatto che il fascio di luce è collimato solo orizzontalmente ma non verticalmente; la mezzaluna sarà più o meno accentuata secondo che il prisma sia più o meno lontano dal proiettore (non sto qui a spiegare il perché, ma il motivo è facilmente intuibile). Non conviene allontanare il prisma perché si perde molto in luminosità.
Già così lo strumento funziona abbastanza bene; tuttavia perché funzioni in maniera ottimale bisogna fare ancora alcune operazioni. La prima è banale: consiste nel disporre lo schermo in modo che il fascetto di luce vi giunga perpendicolarmente (così si ha il massimo di luminosità per ogni distanza). Bisogna inoltre trovare una distanza di compromesso in modo che il segnale luminoso sia sufficientemente intenso e, contemporaneamente, sufficientemente risolto. La seconda operazione è più complicata: si tratta di ruotare il prisma sul suo asse in modo da determinare "l’angolo di deviazione minima". Questa operazione serve per avere la massima risoluzione possibile (massima dispersione dei colori puri)[verificare se è corretto], non è strettamente necessaria, ma ottimizza lo strumento. Se ruotiamo il prisma sul suo asse verticale, notiamo che l’arcobaleno si muove sullo schermo; bisogna ruotarlo in modo che la banda di colori si avvicini alla direzione di propagazione del fascetto di luce senza il prisma. Osserveremo che, ad un certo punto, la banda di colori, nonostante noi continuiamo a ruotare il prisma nella stessa direzione, inverte il suo verso; l’angolo di deviazione minima corrisponde al punto di inversione!. A questo punto lo strumento è pronto per funzionare.
Cosa notare: la luce bianca emessa dalla lampada a incandescenza del proiettore è in realtà composta da uno "spettro" continuo di colori puri. Nulla possiamo dire circa l’intensità con cui sono presenti i singoli colori. Con una lente convergente possiamo far riconvergere il fascio divergente dei colori in un’unica riga ottenendo di nuovo una riga di luce bianca (i colori ci sono evidentemente ancora tutti ma a noi appaiono come "colore" bianco). Se abbiamo a disposizione una cella solare possiamo osservare che su un milliamperometro, collegato alla cella, circola corrente quando la poniamo di fronte al fascio prima del prisma; se lo poniamo di fronte alle varie zone di colore, osserviamo ancora una circolazione di corrente anche se più bassa. La corrente che circola dipende da quale colore colpisce la cellula, osserveremo che nella zona del rosso il segnale di corrente è più inteso. Questo fatto ci potrebbe far supporre che la lampada emetta più nel rosso, ma questa è una conclusione affrettata, in quanto non conosciamo il funzionamento della cella (se è più sensibile a un colore puro più che ad un altro), e non sappiamo se il nostro strumento (lenti più prisma) abbia la stessa efficienza per ogni colore. A me pare molto più interessante un’altra osservazione: se poniamo la cella della parte del violetto o del rosso ma al di fuori della zona dove il nostro occhio ci fa percepire dei colori, il milliamperometro indica ancora passaggio di corrente (in particolare oltre il rosso). La sorgente emette "luce" non visibile! Si tratta della zona infrarossa e ultravioletta dello spettro della radiazione emessa dalla lampada. Il nostro occhio non è sensibile a questa luce (potremmo dire a questi colori puri?), altri animali sono invece in grado di percepirli. Quanta luce ultravioletta o infrarossa e in che rapporti di intensità sia emessa dipende dal tipo di sorgente (nel caso delle lampade a incandescenza, dalla temperatura del filamento e dal materiale "trasparente" dell’involucro), mentre quanta viene rivelata dalla cella solare stessa, dipende sia dalla sua efficienza, che dal fatto che il vetro e l’acqua assorbono in modo diverso le varie lunghezze d’onda (in particolare il vetro assorbe l’ultravioletto - viene usato come filtro UV nelle lampade alogene - mentre è quasi trasparente al vicino infrarosso); inoltre la dispersione del prisma non è costante per ogni lunghezza d’onda.
Esperimenti suggeriti sono:
- Cambiare liquido, sciogliere sali o altro nell’acqua, mettere nell’acqua dei coloranti. In ogni situazione osservare se la banda di colori si sposta (l’angolo di deviazione minimo cambia), se la zona dei colori risulta più larga o più stretta (i vari liquidi hanno diverso "potere" di dispersione). Più interessante ancora vedere se cambiano le intensità relative dei colori puri in relazione ai coloranti e confrontare quello che si osserva con lo spettrometro con il colore che in luce bianca o diurna ci mostra il colorante (servirsi della cella solare).
- Cambiare prisma, se si hanno a disposizione prismi di materiale sintetico e/o di vetro. Ripetere quanto suggerito prima per l’angolo di deviazione minima, la dispersione e usare la cella solare per fare confronti sulla maggiore o minore trasparenza anche relativamente all’infrarosso e all’ultravioletto.
- Studiare in dettaglio il comportamento dei filtri e delle copertine colorate. Ciò è fondamentale per potere prevedere il l’effetto di frapporre un filtro tra un oggetto e l’occhio o tra la sorgente di luce e un oggetto.
- Sostituire il prisma con un reticolo di diffrazione. Il reticolo va posto perpendicolarmente alla direzione di propagazione del fascio di luce del proiettore. Lo schermo va, probabilmente, avvicinato e posto anch’esso perpendicolarmente al fascio di luce. Osserviamo una riga bianca centrale di luce non deviata, ai lati (sia a destra che a sinistra) due arcobaleni speculari ad una certa distanza dalla riga bianca centrale. Per potere osservare correttamente ciò che ho detto, bisogna eventualmente ruotare il reticolo in modo che la fenditura risulti parallela alle righe del reticolo di diffrazione. La distanza a cui osserviamo le zone colorate dipende non solo da quanto è lontano lo schermo dal reticolo, ma anche da come è fatto quest’ultimo, cioè da quante righe per mm ci sono. In realtà si possono osservare infinite serie di fasce colorate (sia a destra che a sinistra), di intensità sempre più bassa ma molto più risolte. Le varie fasce di colori si chiamano: del primo ordine, del secondo ordine, ecc. Oltre certi ordini le bande di colore sono sovrapposte parzialmente. L’ordine zero corrisponde alla banda non deviata. In genere i reticoli hanno un potere di dispersione maggiore dei prismi, pertanto la banda colorata risulta più larga. Sono però meno efficienti, almeno quelli che lavorano in trasmissione, per cui bisogna fare le osservazioni solo al primo ordine. Con il reticolo si possono ripetere quasi tutte le esperienze precedenti.
Uno dei difetti dello spettrometro, che abbiamo, discusso è di non permettere di studiare in maniera agevole la luce emessa da altre sorgenti, che non siano la lampada del proiettore. Per ovviare a questo inconveniente si può progettare un diverso spettrometro. Abbiamo bisogno di un tubo di cartone (basta recuperare quelli del domopack). Ad una estremità fissiamo una fenditura (non è necessario che sia così ben fatta come quella di prima, bastano due pezzi di nastro adesivo nero fissati parallelamente ad un mm l’uno dall’altro), all’altra estremità dobbiamo porre il reticolo.
Per farlo, bisogna prima costruire un coperchio che possa ruotare sul cilindro di cartone, con un po’ di pazienza non è difficile riuscirci. Al centro del coperchio va fatto un foro circolare di circa un cm di diametro. Su questo foro va incollato un ritaglio del reticolo. Per migliorare la visione delle fasce di luce diffratta, conviene foderare internamente il cilindro con cartone nero (per assorbire tutta la luce possibile). Lo strumento è pronto. NB. in questo caso il sensore è direttamente l’occhio.
Per farlo funzionare basta puntarlo verso una sorgente di luce (assolutamente non direttamente verso il sole o un lampada molto potente), allineare il reticolo con la fenditura, facendo ruotare il coperchio, e, guardando verso uno o l’altro lato della riga centrale, osservare lo spettro della luce emessa dalla sorgente.
Esperimenti suggeriti:
Osservare gli spettri della luce emessa da varie sorgenti. Per il sole conviene guardare verso una nube bianca o verso una parete bianca illuminata direttamente. Notare la differenza sostanziale tra i vari tipi di sorgenti: a spettro continuo, a righe e, se disponibili, monocromatiche (assolutamente non un laser). Come sorgenti monocromatiche ricordo ancora i led degli apparecchi elettronici e le lampade da camera oscura.
Si possono fare tutti gli esperimenti suggeriti prima con i filtri.
Se in un ambiente buio si illuminano da vicino con varie lampade si può (con difficoltà), osservare la luce riflessa dagli oggetti. Bisogna fare un confronto con ciò che riflette una carta bianca.




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